Nuovo lavoro cercasi – Parte II

PARTE I

bob dylan

Un portone anonimo, uguale in tutto ai portoni dei palazzi adiacenti. Nessuna insegna, nessuna indicazione. Soltanto la targhetta di carta scritta a mano sul citofono, ‘Uffici’. Anche adesso, davanti a quel portone in legno, su una strada secondaria alla periferia della città, Davide non conosce il nome dell’azienda che lo ha convocato per quel colloquio. La piega dei pantaloni è storta, cerca di aggiustarla con le mani.
‘Questo completo è orrendo’. Era stato il commento della Lore la sera prima.
‘Dovresti comprarne uno nuovo, sai quelli che si usano adesso, con la giacca avvitata…e la camicia dammela, che te la stiro! Il colletto è storto…’
Benedetta donna, quanto si era agitata a sentir parlare di quel colloquio. Pensando alla reazione di Loredana, Davide schiacciò il bottone sul citofono.

‘Chi è?’
‘Davide Onofri sono qui per un colloquio’
Il clic del portone che si apre.
‘Che pian..’la comunicazione si è già interrotta.
L’androne del palazzo è buio, sulla destra la spia rossa dell’ascensore lampeggia. Occupato, fai le scale. Alla fine della seconda rampa ha già il fiatone, la cena della sera prima deve essergli rimasta sullo stomaco.

Loredana era rientrata alle 9 passate, come sempre negli ultimi tempi. Le ore di straordinario erano indispensabili da quando in casa entrava solo il suo stipendio. Spesso, quando lei rincasava, Gioia era già a letto. Entrava in camera di soppiatto, e la guardava, senza toccarla. La sera precedente aveva aspettato che Loredana si sedesse a tavola, e le aveva parlato della telefonata ricevuta quella mattina, della misteriosa azienda, e del colloquio fissato per l’indomani. Un bel sorriso le si era stampato in faccia, puro stato di euforia, tanto da spingerla ad alzarsi e cominciare a camminare per la stanza, con la forchetta in una mano, e una fetta di pane nell’altra. Spargendo briciole sul tappeto, aveva cominciato a programmare una vita diversa.

‘Con gli straordinari mi sono rotta, voglio stare più tempo con Gioia! Non la porto ai giardini a giocare da…bho, da mesi credo…non me lo ricordo più!’ e via così, tra piani per le ferie, serate al cinema, il debito con i suoi genitori saldato e dimenticato. Il fatto che fosse un’azienda senza nome, e che lo avessero convocato per una posizione sconosciuta, non aveva fatto presa nella testa della sua compagna.

Le scale sembrava dovessero condurre al paradiso. Dopo 6 rampe aveva il colletto della camicia allentato, il fiato ancora più corto, e una certa sensazione di umidità su tutte le parti del corpo munite di giunture. ‘Lore aveva bisogno di speranza’, pensava aggrappato al corrimano, ‘Per smettere di esultare c’è sempre tempo…magari è davvero un’occasione seria…o magari io muoio di infarto a salir queste scale e ti saluto buona occasione…’. A un tratto l’ultimo pianerottolo prima del tetto gli si para davanti. Una porta aperta, finalmente. Non è morto.

L’ingresso è spoglio, un bancone, una piantina verde pallido sul bancone, una segretaria con cuffie dietro il bancone.
‘Lei è?’
‘Onofri, Davide Onofri’, ‘Quello che stava per morire sulle scale’ avrebbe voluto aggiungere.
‘Prego, si accomodi, il supervisore la riceverà subito’
Una sedia in fondo alla stanza, una visione dopo aver scalato quel palazzo in giacca e cravatta.
‘Signor Onofri, prego si accomodi’. Il supervisore lo chiamava dalla porta in fondo al corridoio. Addio cara sedia, sarà per un’altra volta.

L’uomo davanti a lui portava un completo impeccabile, capelli brizzolati, mani curate. Entrando nel suo ufficio si accorse che l’arredatore non doveva essere stato molto brillante: scrivania IKEA, sedia girevole anni ’90, lampada da tavolo polverosa, una stanza che trasudava mediocrità.

‘Prego, si accomodi’. Ecco, l’unica frase che Davide avrebbe ricordato alla fine di quel colloquio. Tutto il resto sarebbe rimasto nella sua memoria come una confusa accozzaglia. ‘Azienda leader…cerchiamo nuovi talenti…lei sa come funziona il mercato…proattivo…comunicativo…una vocazione, non un lavoro…domattina alle 9…il suo referente di zona…’ Niente. Nella mente di Davide non era rimasta una sola frase di senso compiuto. Si trovò fuori da quell’ufficio, poi fuori da quel palazzo, e infine in macchina. Teneva in mano un foglio con luogo e ora dell’appuntamento fissato per l’indomani. Ore 9, Piazza Adua. ‘Il suo referente l’aspetterà lì. Si faccia valere, e benvenuto tra noi!’ Nessun nome su quel foglio, nessun riferimento all’azienda. Ripensò alle parole dell’uomo brizzolato, (anche lui senza nome? o lo aveva scordato?), ‘si faccia valere’. Davanti a lui si era creato un incolonnamento di macchine.
‘Ma in che cosa dovrò farmi valere?’, pensò inserendo le quattro frecce.

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